Tra il 2013 e il 2015, le aliquote delle accise sulla birra in Italia sono aumentate del 119%, ma il gettito fiscale è aumentato solo del 4%. Assobirra ha una proposta per generare 2800 posti di lavoro.
Torniamo a parlare del mondo della birra, e dei cambiamenti che ha registrato anche a causa dell’aumento delle accise. L’Italia e la sua fiscalità sulla birra sono un’anomalia in Europa, così come del resto in molti altri settori. La pressione è la più alta, e la birra è l’unica bevanda alcolica da pasto ad essere tassata, più dei superalcolici. Difficile però aumentare i prezzi, così non si è più investito in occupazione e i consumatori, a volte, tendono a spostarsi su prodotti di fascia medio-bassa.
Nonostante qualche buon dato sull’artigianale, nel 2014 i consumi di birra non hanno subito rialzi particolari, anche perché spesso il consumatore preferisce bere birra a casa. In Spagna e Germania, dove le accise sono più basse, il mercato e il settore sono in fermento, con 2800 posti di lavoro disponibili e ben 200 nuove realtà aziendali. In Italia consumiamo, pro capite, 29,2 litri di birra ogni anno, confermandoci all’ultimo posto per consumi in Europa. La classifica è guidata da Repubblica Ceca, Germania, Austria, Irlanda.
Interessante poi notare, secondo una ricerca di Ref Ricerche, che le aziende produttrici di birra hanno solamente assorbito gli aumenti delle accise, senza riuscire a riportarli poi sulla vendita. Pensate che su un aumento di prezzo dovuto all’aumento delle accise del 10%, l’aumento reale è solo del 3%, dato che le aziende hanno poi contenuto costi di produzione e investimenti. Così però la competitività cala, e per il 76,5% delle aziende italiane, gli aumenti delle accise e la pressione fiscale sono il primo limite a costruire veri e propri investimenti per i prossimi anni. Insomma, benvenuti in Italia!