Sembra che, quasi per fortuna diremmo, l’omologazione e la globalizzazione del gusto e delle proposte non tocchi il mondo dello shaker e della mixability.
Ciò che rende possibile il mantenimento di differenze in questo ambito è certamente il fattore umano, visto che la preparazione di un cocktail è certamente un processo “personale”, in cui è protagonista la relazione tra barman e cliente.
A Londra e negli States, ricerca di nuovi mix per i cocktail è continua, ed esistono fitte reti di consulenti specializzati nei vari distillati: gin, vodka, rum ecc…altro fattore importante è la formazione, con investimenti fino a 1.500 sterline per un singolo barman e l’organizzazione di vere e proprie cocktail competition tra i bar.
Tutte iniziative che permettono una rotazione continua di prodotti, professionisti e proposte. Una caratteristica, nei paesi anglosassoni, è l’uso di molti ingredienti per una stessa ricetta, che diventa così “large”, e che aumenta quindi il tasso alcolico.
Il barista deve avere quindi anche la funzione di controllare il cliente, consigliandolo su quando è il momento di smettere. Altra caratteristica dei cocktail inglesi e americani è il forte gusto dolce, dato dall’utilizzo di distillati aromatizzati, molto ghiaccio e decorazioni con frutta fresca.
Il risultato è un mix ipercalorico, bello da vedere e perfetto per accompagnare conversazioni e incontri, ma da degustare con parsimonia.