Dalla consapevolezza di diverse qualità, metodi di lavorazione e origini a un prezzo che ne riconosce il valore: l’analisi di un mercato che necessita di un salto di qualità (e di prezzo) di Andrej Godina, caffesperto, PhD in Scienza, Tecnologia ed Economia nell’Industria del Caffè e Mauro Illiano, winexpert e caffesperto.
Tra gli esperti del settore caffeicolo, il tema della giusta valorizzazione della tazzina è ormai noto e ampiamente dibattuto. I recenti episodi saliti agli onori della cronaca aprono – finalmente – la strada a un confronto con il grande pubblico. Da sempre impegnati nella divulgazione della cultura del caffè, intervengono nel dibattito Andrej Godina PhD in Scienza, Tecnologia ed Economia nell’Industria del Caffè e Mauro Illiano, winexpert e caffesperto.
«In questo ultimo periodo si è spesso parlato del prezzo della tazzina, per lo più senza considerare i diversi parametri che lo compongono; valutandoli posso dire che oggi è non sostenibile – afferma Andrej Godina -. Credo che non esista nessun altro prodotto in commercio che al variare della qualità non veda cambiare anche il prezzo. Forse non tutti sanno che con una tazzina di espresso venduta attorno a 0,80 euro, non si ottiene un margine di profitto sufficiente per pagare i costi di gestione della caffetteria, a cominciare da quelli del contratto di lavoro del barista professionista che incide non poco, quasi il 50% del prezzo. A questi si aggiungono i costi di gestione dell’attività, di affitto, delle utenze, dell’acquisto delle attrezzature (quando sono in comodato d’uso il barista le paga attraverso un rincaro del prezzo del prodotto, anche se spesso non ne ha consapevolezza). Per un bar di medie dimensioni, con un consumo medio di caffè di 3 chili al giorno (circa 350- 400 espressi serviti), il fatturato generato non permette di mantenere l’attività. Da questa premessa appare chiara la necessità di una revisione di quello che è l’approccio della vendita del caffè al bar».
La Carta dei Caffè, un passo necessario
Il racconto del caffè
Il prezzo giusto
Si è innescato un cortocircuito tra chi considera il caffè un prodotto “nazional-popolare” che non “può” staccarsi da soglie minime (0,80-1 euro) anche a costo di non vedere riconosciuto il giusto compenso a chi lo produce, lo lavora e lo trasforma nella bevanda che gli italiani amano: il primo e l’ultimo anello sono i più deboli della catena, spesso sottopagati e vincolati a una costante precarietà, per soddisfare la miopia di baristi che non sanno fare bene i conti e di consumatori che ignorano tutto ciò o, francamente, “se ne fregano”. «La risposta da dare a questo sistema è innanzitutto la differenziazione del prezzo della tazzina al pubblico, così come accade in un’enoteca con i differenti tipi di vino – continua Andrej Godina. Il caffè della casa deve avere un prezzo minimo di almeno 1,50-2 euro che dipende dalla qualità del prodotto e dalla qualità del servizio offerto. A seguire, una carta con differenti tipi di caffè e diversi sistemi di estrazione (filtro, french press, cold brew, per citarne alcuni), ognuno con il proprio prezzo. Nessuno, credo, si scandalizza se un calice di vino di una particolare annata e di grande pregio costa 15 o 20 euro, la medesima cosa deve avvenire anche per caffè altrettanto pregiati!».