Il bar è uno dei luoghi princìpi dell’aggregazione e della socializzazione non solo del mondo occidentale, ma di tutto il mondo.
Il bar è da sempre il luogo alternativo alla casa per la colazione, o per discorrere con gli amici tanto di calcio, quanto di filosofia. Al bar si fanno incontri di lavoro e d’amore, si litiga e ci si riappacifica davanti a una tazzina di caffè o a una birra. Si guarda insieme la partita di calcio o ci si accalora per la politica.
Da sociologo e quindi curioso delle dinamiche sociali quando frequento un bar affollato, la prima banale domanda che mi pongo è: “ma come, con questa crisi c’è tutta questa gente?” In un secondo momento mi dico: “ma quanto sei stupido Vittorio, proprio perché c’è la crisi e sono in crisi i grandi luoghi aggregativi, lasciamo alle persone almeno il piacere di trascorrere qualche minuto al bar a godersi un gelato o una bibita fresca in compagnia!”
Ebbene si, in fondo è proprio dal bar che bisognerebbe ripartire per riaggregare le persone e per fare in modo che queste recuperino la fiducia e ricostruiscano relazioni. Il bar, in fondo, nella nostra cultura continua ad essere l’epicentro di tante reti aggregative, è uno dei rari luoghi che continuano ad unire i cittadini, a dispetto della secolarizzazione della chiesa o della crisi dei partiti, il bar resiste. Il bar resiste perché è rimasto uno dei pochissimi luoghi di socializzazione in cui l’individuo è sicuro di poter incontrare l’Altro.
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