Ultimamente si moltiplicano le terminologie per definire colui che lavora dietro al banco bar: Flair o Freestyle bartender, Mixologist, Molecular Mixologist, Classic Bartender.
Il “Flair bartending” o “Freestyle” (comunemente detto Flair) è uno stile di lavoro che ha origine negli Stati Uniti. È l’insieme delle tecniche acrobatiche nella preparazione di cocktail, e si sviluppò con l’obbiettivo di rendere i locali più efficienti, comodi, con un buon servizio e divertenti: un posto dove sentirsi a proprio agio e dove si potesse comunicare ed incontrare con piacere altra gente, con cui socializzare in compagnia di un buon drink.
La grande diffusione del nuovo stile del Bartenders, avvenne con il film Cocktails, con la presenza di Tom Cruise che assicurò il successo di questo nuovo stile di lavoro. Per strabiliare il pubblico e i titolari di certi locali, i nuovi Flair Bartender miscelano cocktail facendo incredibili evoluzioni con tin shaker, bicchieri che roteano sul palmo della mano, dietro la schiena, lanci con ogni elemento del cocktail che dopo vari minuti verrà versato nel bicchiere per essere servito. Modi di lavorare che hanno generato scuole di formazione. Così oggi l’Italia ha tanti corsi con bartenders freestyle che si esibiscono in gare di livello mondiale. Tanto è vero che nelle scuole alberghiere, se non si insegna il “freestyle” gli allievi seguono con poco interesse le lezioni basilari del servizio al bar. Ma questa novità di esecuzione del lavoro del barman, ha dato risultati positivi nel tempo?
“Mixologist” è un altro termine dato al bartending che esegue uno studio approfondito di raffinata arte e artigianato di miscelazione. “L’arte o la capacità di preparare bevande miste” soprattutto quelle del passato provenienti dagli Stati Uniti. Negli ultimi anni il mixologist è generalmente indicato come un raffinato, con maggiore studio di mescolare cocktail e drink e si differenzia dal comune bartender, barman o barista. La novità più evidente della tecnica di miscelazione è quella di versare gli ingredienti col jigger, attrezzo che noi barman italiani abbiamo scartato da tanto tempo. Infatti, quando ci presentavamo ai concorsi internazionali, lasciavamo interdetti i colleghi stranieri che ammiravano la nostra spontanea capacità di interpretare i prodotti da miscelare, perché conoscevamo la loro peculiarità.
D’altronde, si è mai visto un chef che misura e pesa la quantità di sale, pepe o olio da aggiungere ad un pesce di 600g. o ad un trancio di carne di 200g? Ma l’estro creativo dove lo mettiamo? È novità quella di trasformare un classico Bloody Mary aggiungendo un’infinità di spezie, ketchup, rametti di rosmarino per poi versarlo, con un colore non appetibile, in un contenitore per marmellata o cetrioli?
Continua…
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