Storie al bar è uno spazio dedicato a voi barman e baristi che da sempre lavorate dietro al bancone e a stretto contatto col cliente. Oggi, per Storie al bar, vi presentiamo la storia di Filippo Borghi, che ha avuto piacere di rispondere alle nostre domande e di raccontarci la sua avventura.
Storie al bar nasce da un’idea di Peppino Manzi. Da molto tempo Peppino aveva in mente questo progetto per dar voce ai suoi ex giovani apprendisti barman del Cluny Piano American Bar e ai suoi ex allievi di scuola divenuti poi professionisti, poi aperto anche a tutti i barman, che potessero ricordare i primi anni della loro carriera delle vostre storie, delle vostre esperienze e lanciare un messaggio d’incoraggiamento ai giovani futuri barman.
1) Filippo Borghi, che cosa vuol dire per te essere un barman?
Quello del barman è sicuramente un mestiere complesso, dalle mille sfaccettature, un connubio tra stress e adrenalina, che culmina in un interessante arricchimento sociale e culturale. Ritengo che non ci siano parole migliori di quelle pronunciate da Giorgio Fadda, presidente IBA, per descrivere quello che significa per me esercitare questa
professione: “Il barman, l’alchimista del mondo notturno, a volte il confessore a volte psicologo, diventa depositario di storie; in pochi minuti crea uno spazio intimo ed esclusivo, stabilisce relazioni a crea interazioni.”
2) Quando hai iniziato ad appassionarti a questo mestiere?
Erano i tardi anni ‘90, all’epoca per campare facevo l’agente rappresentante per pavimenti e rivestimenti in ceramica, quotidianamente per lavoro macinavo centinaia di chilometri su strada, capitava spesso infatti che dovessi fermarmi a dormire fuori casa, magari pure in aree suburbane, prettamente industriali. In contesti così freddi e
anestetizzanti, però, c’erano dei luoghi che sapevano sempre distrarmi da quel mondo così frenetico e alienante: gli american bar degli hotel in cui alloggiavo. Non importava che mi trovassi a Novara, piuttosto che a Pescara o Milano, c’era sempre un signore distinto, in giacca e cravatta, pronto ad accogliermi dietro un bancone; un ambiente caldo e rilassante, un buon drink, qualche chiacchiera tra gentlemen e lo stress svaniva ben presto. Succube del loro fascino, iniziai sempre più ad appassionarmi da amatore al mondo del miscelato e dell’accoglienza in genere, galeotti furono poi diversi viaggi che intrapresi tra Brasile e America Centrale. Incantato da una versione alla Cachaca della cubana Canchanchara, cercai di riprodurla una volta tornato in Italia, durante il processo di ricerca, tra un tentativo di miscelazione e l’altro, fui invaso da una sensazione di pace estatica, una catarsi. Fu allora che apportai un cambiamento radicale alla mia vita, decisi di lasciare il lavoro da rappresentante per dedicarmi totalmente alla professione del barman.
3) Quali sono state le tue prime esperienze e cosa hai imparato da ognuna di esse?
Ho iniziato dal classico bar di paese, se la mattina mi dedicavo alla caffetteria, la sera poi mi era concesso sbizzarrirmi con quanto più di stravagante trovassi in bottigliera e deliziare i palati di una clientela più giovane e attenta alle novità, azzardando con successo delle serate “speak easy”. Qui ho capito ben presto alcuni aspetti fondamentali della professione del barman, dalla conoscenza approfondita di ogni genere di bevanda spiritosa, alla promozione ed esaltazione di prodotti tipici del territorio, senza dimenticare l’importanza dell’affiliazione del cliente.
4) Chi sono i tuoi maestri e cosa ti hanno insegnato?
Considero Edmondo Ragazzi e Giuseppe Riviera come dei “padri”, lavorativamente parlando. Hanno saputo contagiarmi con la loro sconfinata passione per il mestiere del barman e del mondo del miscelato. Non solo mi hanno insegnato a lavorare in un team e mi hanno spronato a spingermi oltre la mia confort zone, grazie ai loro
consigli e al loro supporto morale sono stato in grado di coltivare qualità fondamentali per un barman, quali l’umiltà, la perseveranza e la dedizione a questa professione. Debbo un ringraziamento anche al mio amico Endo Masahiko, che durante la mia esperienza ad Hong Kong mi ha introdotto alla grandissima cultura orientale del bere miscelato e con il suo rigore ha donato un’enorme carica alla mia determinazione. Postrema autem, non minus l’illustre Antonio di Franco, che mi ha iniziato al mondo dell’hotelery. Mi sento molto fortunato ad aver avuto modo di lavorare al fianco di un professionista del suo calibro, noto a livello internazionale, un vero maestro dell’ospitalità, gli sarò sempre riconoscente per tutto ciò che ha saputo trasmettermi.
5) Quali sono a tuo avviso le doti e le caratteristiche che non possono mancare mai a un vero barman?
Potrei risultare banale, credo che educazione e solarità siano un bel biglietto da visita. Aggiungerei sicuramente eleganza, discrezione e dedizione. L’umiltà poi non guasta mai, infine una buona dose di curiosità e un pizzico di ricerca ritengo siano il segreto per mantenere viva la passione per questo lavoro.
6) Come è cambiato il mestiere del barman oggi?
Negli ultimi anni abbiamo visto crescere esponenzialmente la quantità di prodotti liquorosi sul mercato, è stato molto stimolante per noi barman, si è puntato molto sulla ricerca e sulla creatività, tant’è che abbiamo visto apparire nuove figure come quella del mixologist, prettamente focalizzate sull’ideazione di homemade e signature
cocktails. D’altro canto ritengo che ciò sia andato molto a discapito di una caratteristica peculiare del barman: l’internazionalità. Sono sempre stato ammaliato dall’idea di poter sorseggiare lo stesso Old Fashioned, che mi trovassi a New York, Hong Kong o Miami. Ormai è sempre più raro trovare barman che padroneggino tutto lo scibile del bere miscelato e che sappiano riprodurre i grandi classici in maniera pulita, senza ritocchi. Inoltre, a mio malincuore, sta avvenendo un processo di informatizzazione, in favore di nuove mode frivole e passeggere, spesso ineleganti, è sempre più raro vedere una giacca color creme dietro un bancone. A mio parere la divisa non solo veicola l’idea di una personalità particolarmente forte, caratterizzata da autocontrollo e sicurezza, rigore e disciplina, affidabile, ma segnala anche la forza di un intero gruppo, cosa che dovrebbe accrescere il fascino per la figura del bartender.
7) Il ricordo più bello che hai dei tuoi anni lavoro.
Penso a dei bei ricordi legati al mio lavoro e mi tornano presto in mente le stagioni fatte al “Club Moritzino” in Alta Badia, piuttosto che al “Bar del Porto” a Panarea, indimenticabile pure l’esperienza internazionale come bar manager del cocktail bar “Fishteria” di Hong Kong. Se c’è un posto, però, dove ho lasciato il cuore, quello è lo storico Bar Grill
dell’Hotel de la Poste di Cortina, dove ormai lavoro da quattro anni. Qui non solo ho avuto modo di affiancare l’immenso Antonio di Franco, mi è stata pure concessa in sua assenza l’opportunità di portare avanti, sempre con il massimo decoro e rispetto, questo memorabile American Bar, da quasi un secolo pietra miliare della vita mondana ampezzana. A rendere questa esperienza così esclusiva è inoltre la possibilità di lavorare a stretto contatto con chi l’ospitalità ce l’ha nel sangue: parlo della famiglia Manaìgo i cui membri gestiscono “il Poste” -come lo chiamano gli habitué- dal lontano 1804, suo anno di nascita. Grazie ai loro sforzi e alla loro dedizione l’hotel è stato di recente insignito con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali del titolo di “Locale Storico d’Italia”, sono onorato dall’idea di poter essere parte del loro progetto per i prossimi Giochi Invernali di Milano-Cortina 2026.
8) Quali sono gli ingredienti che usi maggiormente e perché?
Trovo molto piacevole cimentarmi con frutta e verdura fresca: lavorare direttamente con le materie prime, senza ricorrere a puree e succhi ricchi di acidi, coloranti e conservanti, non solo è molto più salutare ma regala al cliente un’esplosione di sapori e profumi, irrealizzabile con prodotti industriali. Devo menzionare poi lo Champagne, per me è l’ingrediente principe, raffinato ed elegante, non guasta mai. Nel mio bar infatti gli sparkling, connubio perfetto di questi due ingredienti, non possono mai mancare: il dissetante e più estivo Bellini in autunno cede il passo al Tintoretto, mentre il sovrano della stagione più fredda è il Puccini, nato al bar dell’Hotel de la Poste, ravviva i palati dei miei ospiti con la sua spremuta al mandarino da più di ottant’anni.
9) Qual è il tuo rapporto col cliente? Cosa vuoi trasmettere a chi viene nel tuo locale?
Sono molto attento all’ospitalità, voglio che il cliente si senta completamente a suo agio nel mio locale, che percepisca un ambiente caldo e accogliente. Un pizzico di distacco e discrezione non guastano mai e trasmettono professionalità e affidabilità all’ospite, il quale senza preoccupazioni può farsi condurre nella scelta di bevande e pietanze. Infine ritengo sia molto rilevante tramandare anche la storicità e le peculiarità del locale in cui lavoro, la cui bellezza non sarebbe egualmente apprezzabile senza approfondirne il contesto.
10) Quali sono i cocktail che ami di più e perché?
Per la sua eleganza estemporanea nominerei sicuramente il Vodka Martini, non posso poi non citare il Milano Torino, che ritengo un cocktail cardine all’interno della storia del bere miscelato italiano, e infine a gusto personale l’Old Fashioned (sono un grande amante di whisky, whiskey e bourbon).
11) Ricetta di un tuo cocktail.
A.Mi.Co. – Cocktail (A.Mi.Co perché al bancone del bar si trova sempre un amico)
4 cl Mandarino spremuto a mano
2 cl Vodka
1 cl Select
Top di Prosecco
Built in in Highball Glass serigrafato A.Mi.Co.
Decorazione: spicchio di Mandarino
12) Se pensi al tuo locale ideale quali caratteristiche dovrebbe avere?
Il cuore pulsante del mio locale ideale dovrebbe essere un imponente bancone da American Bar, con degli altissimi sgabelli, poggiapiedi in ottone e luci soffuse, regolabili in base al tipo di servizio. Non dovrebbero essere mai assenti fiori freschi e musica chill/lounge, magari live, a riscaldare l’ambiente, immancabile qualche pezzo vintage nella bottigliera e una vetrina piena zeppa dei miei cimeli: shaker, sifoni, mixing glass, bar spoon, ecc ecc di decadi fa, racimolati nel corso degli anni spulciando tra le bancarelle dell’usato, nei miei svariati viaggi in giro sia per l’Italia che all’estero. L’avrete capito ormai, sono un amante dell’estetica classica, di quei canoni di bellezza imperturbabili allo scorrere delle lancette, quelli in grado di ammaliare qualsiasi ospite indipendentemente dall’estrazione culturale, sociale e temporale, quindi non potrei che immaginare personale solo in giacca color creme, posate in argento e bicchieri in cristallo all’interno del mio locale ideale. Se da un lato poi non potrei mai rinunciare alle lampade in rame, con le quali stupire i miei ospiti con la cucina flambé, mi piacerebbe molto strizzare l’occhio a qualcosa di più innovativo, imparato nelle mie esperienze ad oriente, come l’arte del ghiaccio intagliato.
13) Tre aggettivi con cui ami descriverti?
Affidabile, Elegante, Efficiente.
14) Tre aggettivi per descrivere i tuoi cocktail?
Profumati, dall’estetica classica, internazionali.
15) Scrivi una frase che ti rappresenta, un motto, un aforisma, un messaggio che vorresti far conoscere a tutti.
L’aforisma che più mi rappresenta è “Servi il cliente come vorresti essere servito tu”, poi credo sia molto affine al mondo del bartending il vecchio detto “Non vedo, non sento, non parlo”, come mi ricorda sempre la statua delle tre scimmiette, apposta nella bottigliera del Bar Grill dal signor Antonio.
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Questa rubrica vuole essere una sorta di contenitore delle vostre storie di vita ed anche delle vostre ricette più importanti. Di volta in volta daremo spazio ad un barman che racconterà la propria storia umana e professionale e che ci dirà, con un aforisma, il suo modo di vedere questa straordinaria professione.
Gli articoli saranno pubblicati qui su bar.it
Per ogni articolo, appunto, troverete foto del barman aforisma e una sua ricetta “cavallo di battaglia”. Alla fine di questo percorso, raccoglieremo tutte queste esperienze in un volume: “Storie al Bar” e-book e cartaceo.
Se volete raccontare anche voi la vostra storia e la vostra carriera, potete inviare una mail a bar@bar.it indicando come oggetto Storie al bar. Ricordate di:
Indicare nome e cognome, luogo di provenienza;
Allegare il file con le domande a cui rispondere per realizzare l’articolo (POTETE SCARICARE IL FILE QUI)
Scrivere l’aforisma che vi rappresenta
Allegare una o più foto che vi rappresentano negli anni di lavoro
ricetta e spiegazione di un vostro cocktail con relativa foto
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