Cos’è il food design? Una riflessione, un pensiero sul cibo, il feticcio forse più grande della nostra epoca. Che in sé porta una molteplicità di significati e tradizioni, identità e aspirazioni. Ma che ha anche innumerevoli risvolti sociali e politici sul fronte della produzione e della somministrazione, e ambientali per quanto riguarda non solo la produzione ma anche il consumo e il post-consumo, ovvero lo spreco.Riflette su tutto ciò, sul sistema di valori e richiami, il food design che è parola che ha tante definizioni quanti forse sono i suo seguaci e utilizzatori. Basta sentire cosa ne dicono un accademico e ricercatore, un designer che lavora con l’industria e una creativa.
“Il Food design è molto semplicemente un ambito di intenzione creativa che incorpora tutti gli aspetti del mangiare dal piatto alla tavola, dalla provenienza dl cibo (i sistemi) al modo in cui viene consumato (gli ambienti). Il food designer può lavorare a uno qualsiasi di questi aspetti con lo scopo ultimo di ridefinire i parametri dell’atto di mangiare” spiega Earlwyn Covington, scrittore, innovatore e docente presso la Design Academy di Eindhoven, che qualche anno fa ha istituito una facoltà dedicata al food design.
Secondo Federico Casotto, design manager e food specialist presso Design Group Italia, “i designer possono creare valore nel mondo dell’ospitalità intervenendo su tutti gli aspetti dell’esperienza all’interno di un ristorante o di un albergo. Grazie alla loro competenza multidisciplinare possono lavorare sui materiali, i colori, i profumi, i suoni, le caratteristiche del servizio, la configurazione degli spazi, la gestione dei flussi per armonizzarli tra loro in relazione ai valori che il brand vuole veicolare”.
Per Kia Utzon-Frank, designer e orafa danese basata a Londra che sta sperimentando con il food creando dolci-sculture di lusso con pattern creati con una stampante 3D che usa marzapane e “piastrelle” di cioccolato che ricordano i vecchi pavimenti in graniglia, food design è “inventarsi nuove idee e mettere le persone in connessione. Con il cibo ho lavorato accostando sapori senza sapere cosa ne sarebbe venuto fuori, la cosa bella è che da principiante non avevo tutte le restrizioni di un professionista”.
Inutile però negare quanto l’aspetto estetico e visuale sia preponderante oggi nella proposta e nell’esaltazione e infinita propagazione del cibo. Non a caso il cortocircuito tra cibo e moda nel nome del food design sta creando frutti prolifici e interessanti in molteplici contesti. Con sconfinamenti davvero bizzarri nei due sensi, come quando per trasmettere quella sensazione intima e coinvolgente che solo il cibo può dare lo stilista Simon Porte di Jacquemus ha mandato agli invitati alla sfilata della collezione autunno-inverno 2019 un save the date sotto forma di pagnotta avvolta in un tovagliolo con ricamato il nome del brand. Un richiamo, anche, alla collezione ispirata ai vestiti da lavoro dei contadini di Montpellier. Del resto sul pane la start-up israeliana Talking Bread incide messaggi che vanno dalla promozione di un marchio al coinvolgimento dei bambini a mangiare più sano.
Mentre lo studio di design concettuale giapponese Open Meals ha annunciato che aprirà a Tokyo nel 2020 un ristorante, Sushi Singularity, che utilizzando stampanti 3D creerà cibo perfettamente tarato sui bisogni nutrizionali individuali, ricavati dall’analisi di materiale biologico inviato precedentemente dal cliente.
Elzelinde van Doleweerd, laureata alla Eindhoven University of Technology e in partnership con una azienda cinese di tecnologia, userà invece la stampante 3D per creare snack derivati dagli scarti del cibo (patate e riso).
La complessità del tema è espressa dalla mostra in corso a Londra al Victoria&Albert Museum dal 18 maggio al 20 ottobre 2019: Food: Bigger than the Plate.
Un mondo in fermento e in evoluzione insomma che ci aiuta a riflettere sulla nostra più grande esperienza di vita: quella di alimentarci. Per la sopravvivenza, e per il piacere.
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