Il ghiaccio è uno degli ingredienti fondamentali di ogni cocktail, ma forse, sbagliando, anche il meno considerato.
Il ghiaccio non solo distingue un drink buono da uno cattivo, ma anche un cocktail sano da uno pericoloso. Conservare acqua a basse temperature non è operazione facile: se infatti la materia prima (acqua) è contaminata da batteri, anche la conservazione non servirà per farli sparire. Senza dimenticare che spesso i contenitori per il ghiaccio non sono pulitissimi, e che i cubetti vengono toccati con le mani dal personale. Pensate che in Italia il consumo di ghiaccio è di 200.000 tonnellate l’anno (ristoranti, cocktail, presentazione alimenti, banco pesce, mercati). Il congelamento, addirittura, facilita la conservazione di alcuni batteri, che poi a temperatura ambiente prendono a riprodursi.
Sempre poco considerato anche dai nutrizionisti e dalla sicurezza alimentare, oggi è sotto la lente d’ingrandimento di tutti, ed è diventato un settore di mercato che vale 4 miliardi di dollari nel mondo. In Italia c’è ancora la prassi di farsi da sé il ghiaccio, con tutti i rischi del caso, visto che il prodotto non avrà tutti gli standard di sicurezza. Con la supervisione del Ministero della Salute, nei giorni scorsi è uscito un documento che detta linee guida per aziende produttrici e produttori non industriali, il Manuale di corretta prassi operativa per la produzione, la conservazione e l’utilizzo del ghiaccio per uso alimentare.
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