Siete sicuri di conoscere davvero le dimensioni delle nuove tendenze alimentari in Italia? Vegetariani e, soprattutto, vegani, sono ormai un segmento di mercato che anche il bar deve tenere in considerazione.
Condimenti per la pasta, sushi vegetariani, arancini ai funghi e pistacchi. A Roma viene presentato il Vegorino romano, primo alimento stagionato vegetale e a Torino il primo Fine Vegan Restaurant (Coox). I vegani in Italia sono in aumento, e spesso nei bar e ristoranti ci si trova in difficoltà per soddisfare esigenze a volte, diciamolo, fin troppo estreme e particolari. Ben 4.600.000 italiani non mangiano né carne né pesce (6%) o rifiutano tutti i prodotti animali (3%). Un abitudine che è diventata un vero e proprio stile, che la Coop definisce “stile liquido”, dato che ogni persona sceglie fin da piccola quali saranno le sue caratteristiche alimentari, a prescindere da territorio e famiglia. Pesano su tali scelte motivazioni sia etiche che salutistiche, e gli studi hanno realizzato anche una mappa dei vegani italiani: il 36% vive a Nord-Ovest, in grandi città (13%), ha occupazioni di alto livello (25%) ed è una donna (58%), spesso tra i 45 e i 54 anni (28%), spesso laureata (17%).
Per i giovani, invece, sembra che la scelta vegana sia legata anche ad una forma di affermazione della propria autonomia. Anche l’offerta nei bar sembra seguire le nuove esigenze del consumatore vegano, seppur con qualche difficoltà, soprattutto per quei locali che preparano cibi al momento, e che nella creazione di un menù apposito richiedono di un tempo e di un’organizzazione diversa. Un locale attento al cliente dovrebbe, quindi, avere l’accortezza di preparare prodotti specifici da consumare velocemente (panini, primi piatti, sandwich ecc…), o di inserire nel proprio menù (dove c’è possibilità di sedersi per il pranzo o la cena) piatti vegani e vegetariani. Trovarsi spiazzati non è più consentito con questi numeri, e anche l’aperitivo è diventato un momento importante per provare a stuzzicare il palato dei vegani con cose sfiziose.
Senza tralasciare il fatto che, visti i numeri di cui parliamo e la fetta di mercato interessata, per un bar il vegano rappresenta un’indubbia fonte di guadagno, che non è possibile mettere in secondo piano. Detto questo, è vero anche che gli eccessi, da qualsiasi parte, non fanno mai troppo bene. Questo vale sia per quei locali che talvolta sembrano accennare ad una “discriminazione al contrario”, lasciando in secondo o in terzo piano coloro che adottano un regime alimentare per così dire classico, sia per i vegani stessi. I primi dovrebbero offrire sempre e comunque la scelta più ampia possibile al cliente, e i secondi dovrebbero imparare ad essere un po’ più “morbidi” quando mangiano fuori casa. Se dovessimo far vincere l’estremo, anche il mio pessimo rapporto con le verdure (causato, ahimè, da un problema fisico), dovrebbe avere lo stesso valore dello stile di vita vegano. Anche io potrei avere pretese verso bar e ristoranti o menù personalizzati. La verità è che un locale deve cercare un equilibrio tra il suo stile, le richieste del cliente (tutti, effettivi e possibili), il mercato e la propria organizzazione. Lo stesso equilibrio che dovrebbe trovare chi mangia fuori casa, lasciando da parte gli estremi, rilassandosi e godendosi qualche piacere in più.
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