Tra i prodotti tipici e di nicchia italiani, che si tramandano di generazione in generazione, ma che rischiamo di perdere, oggi vogliamo concentrarci sul vino cotto, un’eccellenza proveniente dal cuore delle Marche, nel centro Italia: le principali aree di produzione, infatti, sono le province di Fermo, Macerata ed Ascoli Piceno.
Ricco di polifenoli, questo nettare delizioso viene utilizzato come bevanda, come medicamento, ma anche come ingrediente da utilizzare in cucina per preparare alcuni dolci.
Furono i Greci a tramandarne i dettami produttivi al popolo italico dei Piceni, i quali, a loro volta, lo diffusero su tutto il territorio dell’antica Roma. Esistono documenti attestanti la produzione di vino cotto nella zona del Piceno, risalenti addirittura al 200. a.C.; addirittura il commediografo latino Tito Maccio Plauto, cita questa bevanda nella sua commedia “Pseudolus” del 191 a.C., mentre Plinio il Vecchio, nella sua “Storia Naturale”, si riferisce ai vini cotti come a “quelli che hanno il sapore loro e non quello del vino”: il vino cotto, dunque, ha sempre avuto un proprio specifico sapore.
Lucio Giunio Moderato Columella ci fornisce, nel primo secolo d.C., un’accurata descrizione di come realizzare questo prodotto, da cui si deduce che, in circa duemila anni, nulla è cambiato.
Per ottenere questo profumato, dolce e gustoso nettare, possiamo partire dal mosto di uve bianche o rosse, da versare in un caldaio di rame e cuocere, fino a ridurne di un terzo il volume; a questo punto, il liquido viene travasato in piccole botti di legno, dove avviene una lenta fermentazione ed un successivo, lungo, invecchiamento. Sarà proprio il tempo, a determinare la qualità del risultato finale: più il vino cotto soggiorna in botte, infatti, e più si concentra, migliorando così il suo sapore.
Nel bicchiere, il vin cotto si presenta di colore rosso, tendente all’ambrato, con un profumo intenso, fruttato, con note di caramello, miele, liquirizia, oltre a sentori speziati e leggermente fenolici. Morbido al palato, corposo, lievemente liquoroso, con acidità e dolcezza perfettamente equilibrate, retrogusto sapido, pieno e persistente, questo nettare corroborante è l’ideale per il fine pasto o come vino da meditazione.
Lo si può usare per accompagnare pasticceria secca, biscotteria e anche i classici del Natale: panettone e pandoro.
La gradazione alcolica raggiunge sempre almeno i 13 gradi, il che lo rende ideale anche come digestivo o in abbinamento a cioccolato e castagne.
Nelle campagne marchigiane i contadini erano soliti offrire un bicchiere di vin cotto all’ospite, mentre, tra le donne, era diffusa la convinzione che fosse utile lavare gli arti inferiori dei piccoli, per favorirne lo sviluppo.
Ancora oggi, per alleviare i sintomi delle malattie da raffreddamento, si consiglia di consumarne una bella tazza, anche scaldata ed addolcita con un po’ di miele: un altro modo per gustarlo e lasciarsi inebriare il cuore e l’anima da questa bevanda senza tempo.
Io personalmente ho avuto il piacere di conoscerne uno che ha un profondo e viscerale legame con la terra: Sergio Catalini, imprenditore agricolo classe 1952, che nel 1969 ha aperto la sua azienda ad Ortezzano, in provincia di Fermo, nelle Marche.
Mai banale, chiaro, diretto e schietto, Sergio è un esperto tutore di una delle più importanti tipicità di queste terre e ci racconta anche dell’abitudine, diffusa in passato tra le contadine di queste zone, di lavare gli arti inferiori dei neonati proprio con il vino cotto, con la convinzione che questo prezioso nettare favorisse la crescita e lo sviluppo degli infanti.
Altra specialità della zona è la sapa: semplice mosto cotto, che si può utilizzare anche per sostituire l’aceto balsamico, per fare dolci (tra cui il “Frustingo”, tipico del fermano) e per insaporire piatti di carni, quali arrosti e bolliti, ma anche da aggiungere su macedonie, ricotta, formaggi e fritti, oltre che per abbassare l’acidità del pomodoro nel ragù di carne.
Parlare con Sergio, vero factotum della sua azienda, è veramente un piacere: “Sono testardo e concentrato sul mio obiettivo: fare qualcosa di buono”; è per questo che, oltre a sapa e vino cotto, confetture, frutti sciroppati, olio e passate di pomodoro, dall’anno scorso Sergio ha avviato una piccola produzione di pasta all’uovo, con grani antichi, e di vini: “Meris”, un Marche bianco IGT da uve Trebbiano e “Andres” un Marche rosso IGT da uve Sangiovese; vini a cui Sergio ha voluto dare proprio il nome dei suoi figli.
Non solo per loro, ma anche per tutti i giovani interessati al mondo agreste, l’azienda di Sergio è un piccolo faro di speranza: abilitata, infatti, anche come fattoria didattica, nei suoi locali i più giovani possono imparare a produrre marmellate, frutta sciroppata e passate di pomodoro.
Col suo impegno, Sergio racconta e tramanda ogni giorno l’amore per la terra e per i suoi frutti perché, come disse anche Papa Francesco: “La natura ci sfida ad essere solidali e attenti alla custodia del creato, anche per prevenire, per quanto possibile, le conseguenze più gravi.”
Qualora vi ritrovaste, per lavoro o per piacere, a visitare il centro Italia, cercate un produttore di vino cotto da cui poter acquistare questo nettare prezioso: riporterete a casa e nel cuore, un sorso di tradizione…
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