Sta per cominciare Slow Wine Fair, l’evento che vede protagoniste oltre 750 cantine selezionate. L’appuntamento è dal 26 al 28 febbraio a BolognaFiere. Oggi vi proponiamo l’intervista a Domenico Lunghi, Direttore Manifestazioni Dirette BolognaFiere.
1) Domenico Lunghi, ci parli un po’ dei produttori che saranno protagonisti a BolognaFiere dal 26 al 28 febbraio.
La seconda edizione della Slow Wine Fair vedrà la presenza di ben 750 cantine selezionate, con un aumento del 50% rispetto alla prima edizione del 2022. Queste cantine hanno dovuto passare un primo vaglio, legato alla sottoscrizione del manifesto di Slow Food, che impone alle attività vitivinicole una gestione sostenibile e rispettosa dell’ambiente e dei lavoratori. Le cantine che hanno aderito hanno, poi, dovuto affrontare la selezione di una giuria di esperti, che ha assaggiato tutti i vini candidati all’esposizione. Pertanto, le cantine presenti in fiera – che avrebbero potuto essere molto più numerose di quelle ammesse – faranno degustare al pubblico un vino che è stato decretato davvero “buono, pulito e giusto”. Non è un caso che la metà di queste cantine disponga di una certificazione biologica o biodinamica, o stia concludendo il processo di conversione.
Entrando più nel dettaglio, 650 di loro provengono un po’ da tutta Italia, ma le quattro regioni più rappresentate sono il Piemonte, l’Emilia-Romagna, il Veneto e la Toscana.
Le cantine estere – un centinaio – rappresenteranno 21 Paesi, soprattutto la Francia – con diversi produttori di Champagne – e la Spagna. Senza contare gli importanti vini in arrivo da altre aree del mondo, quali la Slovenia, la Moldavia e la Cina, con cantine aderenti a un Presidio di Slow Food.
Appassionati, professionisti e buyer – molti dei quali provenienti dal nord Europa, specie dalla Germania – potranno degustare oltre 3.000 etichette, scoprire vini da agricoltura sostenibile e partecipare a incontri di conoscenza e approfondimento. La Slow Wine Arena – Reale Mutua e la Sala Opera ospiteranno, infatti, 8 Masterclass di vini italiani e stranieri – del Caucaso, francesi in collaborazione con Tannico, cinesi, etc. – e numerose conferenze.
2) Quest’anno verrà data un’attenzione particolare ai partner della sostenibilità. A che punto siamo nella strada verso la sostenibilità tra tecnologia, impianti, attrezzature e servizi?
Dopo aver fissato requisiti di sostenibilità molto vincolanti per l’ammissione delle cantine, ci è parso giusto portare all’attenzione della business community anche alcuni esempi di soluzioni di filiera e di servizio particolarmente interessanti.
Ad esempio, vista l’importanza che l’e-commerce sta assumendo nel settore del vino, come partner della Slow Wine Fair abbiamo scelto Tannico. Inoltre, abbiamo coinvolto aziende di servizio quali Direct From Italy, che produce un software a supporto delle attività di vendita, Q Wine Code, che genera QR code che raccontano tutto di una etichetta, e Nakpak, che propone soluzioni di packaging evolute per le spedizioni.
Avremo anche esempi di lavastoviglie ecologiche con WinterHalter e di trattamento delle acque con Casciana Acque, oltre alle soluzioni strutturali di Wolf per cantine in legno e acciaio, a ingredienti e lieviti indigeni e prodotti convenzionali e biologici con Coccitech, e alla piattaforma DNAPhone per analisi enzimatiche. Ci saranno, infine, Enoservice, che fornisce servizi per i produttori del metodo classico, e i macchinari enologici evoluti di Grifo Marchetti.
3) Un’area sarà dedicata alle bevande spiritose. Che rapporto c’è tra vino e spirits, tra enologia e miscelazione?
Il settore degli amari prodotti con ingredienti speciali ha molte affinità con la filosofia dei vini esposti alla Slow Wine Fair ed è per questo che i nostri partner Amaroteca e Anadi – Associazione Nazionale Amaro d’Italia ci hanno scelti per la terza edizione della Fiera dell’Amaro d’Italia.
Alla Slow Wine Fair si parlerà, in particolare, di amaro d’Italia. L’obiettivo è quello di valorizzarlo a partire da una sua più puntuale definizione rispetto a quella, generica, di bevande spiritose. Per ora, purtroppo, il riferimento è la Direttiva europea, che traduce ‘amaro’ con ‘bitter’, mentre in Italia sappiamo bene che non sono sinonimi. Il consumo dell’amaro sta crescendo, specie nei paesi anglosassoni, e ciò anche grazie allo sviluppo della miscelazione. Ma non essendo definito correttamente il concetto di amaro, tutti i numeri e i termini riguardano in senso più ampio le bevande spiritose, mentre non c’è un dato specifico per valutare l’impatto dell’amaro d’Italia nella miscelazione.
Una carta degli amari non viene proposta nemmeno nei ristoranti stellati e non esiste la figura professionale di sommelier degli amari. Manca una scuola, non c’è formazione e ciò stride con la conoscenza e la diffusione dell’amaro. Alla fine di un pasto quasi tutti lo prendono, però spesso viene offerto dal ristoratore e così si perde tutto ciò che c’è dietro la produzione e ciò che offre il mercato. Eppure in ogni comune c’è un amaro, per non parlare dei tanti amari dei monaci, visto che tradizionalmente trae origine da essenze utilizzate a fini sanitari. Ma anche qui non c’è la cultura, non c’è la conoscenza.
Negli ultimi anni si sta un po’ recuperando sul punto della miscelazione, cui i produttori tengono molto perché consente di aumentare i livelli di consumo e di produzione. Un altro punto è più culturalmente avanzato e attiene alla socialità: sta prendendo piede un costume ottocentesco che consiste nel sorseggiare l’amaro in compagnia nel pomeriggio, come si faceva un tempo con il rosolio. E anche i giovani possono essere socializzati a questa cultura di degustazione meditativa.
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