Una bella iniziativa sul luppolo italiano all’interno dell’edizione appena trascorsa di Beer&Food Attraction. Vediamo quindi quali sono stati gli argomenti trattati e quali le conclusioni.
Cosa accadrebbe se il luppolo per produrre la birra fosse coltivato in Italia? Quali sarebbero gli effetti sull’economia? Se ne è parlato in un evento a Beer&Food Attraction di IEG con gli attori fondamentali dell’intera filiera: Alberto Manzo, funzionario del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali; Michele Cason, presidente di AssoBirra; Simone Monetti, segretario generale Unionbirrai; Katya Carbone, ricercatrice CREA Centro di Ricerca Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura di Roma; Tommaso Ganino, Università di Parma e Dario Cherubini, del dipartimento economico CIA Agricoltori Italiani.
Se oggi il luppolo coltivato in Italia corrisponde a circa 100 ettari, la maggiore sensibilizzazione mediatica su questi temi indica un possibile cambio di rotta. Occorrono maggiori incentivi e se, come afferma Manzo, “il ministero è già da tempo sensibile sull’argomento, occorre sensibilizzare anche le Regioni”. Tema importante per la crescita della coltivazione è anche quello della diversificazione degli usi della pianta, come sottolinea Cason. Infatti, “se la birra prodotta oggi in Italia derivasse tutta da luppolo italiano, si arriverebbe al massimo a circa 600 ettari di coltivazione”.
L’Italia, si sa, è uno dei Paesi con la maggior biodiversità al mondo, riuscire a sfruttare questa caratteristica anche nella coltivazione del luppolo è una sfida affascinante per i prossimi anni. Servono molti più investimenti, come evidenzia Katya Carbone. Chi sulle caratteristiche tipiche del luppolo investe già da tempo sono i birrifici artigianali. Lo rimarca Simone Monetti: “il luppolo è forse l’ingrediente che più caratterizza la birra artigianale, soprattutto per la sua parte aromatica. I prodotti locali sono da sempre all’attenzione del nostro movimento”.