Storie al bar è uno spazio dedicato a voi barman e baristi che da sempre lavorate dietro al bancone e a stretto contatto col cliente. Oggi conosciamo più da vicino Peppino Manzi, il papà di tutti i barmen italiani, che ha seguito il progetto di bar.it sin dalla sua nascita.
Storie al bar nasce da un’idea di Peppino Manzi. Da molto tempo Peppino aveva in mente questo progetto per dar voce ai suoi ex giovani apprendisti barman del Cluny Piano American Bar e ai suoi ex allievi di scuola divenuti poi professionisti, poi aperto anche a tutti i barman, che potessero ricordare i primi anni della loro carriera delle vostre storie, delle vostre esperienze e lanciare un messaggio d’incoraggiamento ai giovani futuri barman.
1) Peppino Manzi, che cosa vuol dire per te essere un barman?
Questa carriera professionale è stata per me l’università del mondo. Non potendo proseguire con gli studi andavo come si diceva allora “ a bottega”, e sabato e domenica aiutavo mia mamma al banco bar di un locale da ballo. Ho potuto provare le differenze pratiche delle diverse attività lavorative. Ancora nell’età adolescenziale decisi di scegliere la professione del barista, per poi sognare di arrivare ad essere un vero barman, facendo gli adeguati sacrifici con le tante esperienze di lavoro nelle principali città d’Italia per poi a 18 anni andare all’estero. Ciò mi consentì, lavorando, di capire e vivere in culture diverse, imparare le basi di alcune lingue, di approfondire le tecniche del lavoro, in complesso di vivere un contatto con un mondo che il lavoro di “bottega” al paese non mi avrebbe mai concesso. Ma facendo questo mestiere mi sono elevato anche culturalmente.
2) Quando hai iniziato ad appassionarti a questo mestiere?
Era destino. Ho perso prematuramente mio babbo che ha sempre fatto il mestiere di cameriere, anche per tanti anni all’estero. Io ammiravo con passione le sue divise rimaste inerti nell’armadio; frak, marsine smoking, giacche bianche, e sognavo che un giorno le avrei indossate anch’io. Era un sogno che ho pazientemente realizzato.
3) Quali sono state le tue prime esperienze, e cosa hai imparato da
ognuna di esse?
Iniziai ancora molto giovane, in un locale “Dancing”, poi (come erano definiti a quei tempi) in un lussuoso “Night Club Woodpecker” al mare: mi affascinava il rapporto con il pubblico il loro saluto le loro confidenze, imparai a saper ascoltare le persone ed essere sinceramente disponibile. Apprezzavo la fatica fisica con la compensazione del lavoro eseguito in mezzo a tanta vivacità, allegria, musica e spettacolo. Ero soddisfatto di vivere così intensamente quel mondo mai monotono.
4) Chi sono stati i tuoi maestri, e cosa ti hanno insegnato?
Quando ancora lavoravo nel Dancing ero in coppia con un giovane amico maggiore di me di 3 anni, le nostre esperienze si sviluppavano fra bottiglie di Prunella Ballor, Sassolino Stampa, Millefiori Cucchi, Rum Fantasia, Vov Peziol, Anisetta Meletti, Brandy nazionali, caffè e una bottiglia di Whisky Johnny Walker (tenuta come l’oracolo). Arrivò un simpatico giovane cliente e con spavalderia ordinò un Whisky, il collega si accinse a servirlo con tanta precauzione che ne versò nel bicchiere poco più di alcune gocce; il cliente sorpreso gli si rivolse con tono divertito e le disse: vabbè che sarà un prodotto costoso, ma almeno versane quel tanto da poter sentire almeno il sapore e non solo il profumo. Questo era il bar in Romagna nei primi anni ‘50.
L’altra sostanziosa e importante esperienza la feci nella stagione estiva del ‘55 al Night Club Woodpecker di Milano Marittima. Il barman Bruno Bianchi proveniva dal Caffè Majani di Bologna, una carica di vitalità lavorativa, salutava ogni avventore con simpatica cantilena tipica del bolognese; i clienti non venivano al banco bar solo per bere un drink, ma anche per conversare con il simpatico Bruno che sapeva ascoltare e colloquiare continuando il suo lavoro di mescere e impartire ordini a noi suoi giovani commis. In quell’esperienza, come ho detto, imparai a saper ascoltare e perdere la mia innata timidezza. Certo che capivo che preparare drink era il nostro maggiore lavoro, ma l’importante era anche dare un certo senso di amichevole affabilità a chi si avvicinava al banco bar, era più importante che di un buon cocktail. Se si presenta un drink non perfetto il cliente a volte può essere indulgente e perdonartelo, ma se sei scortese e poco disponibile quello non te lo perdona e immediatamente non frequenta più il tuo bar. Poi per molte stagioni estive io presi il posto del Bruno con grande soddisfazione portando le mie esperienze maturate all’estero.
5) Quali sono a tuo avviso le doti e le caratteristiche che non possono
mai mancare ad un vero barman?
Essere barman è un assemblaggio di vari ingredienti/elementi:
- la preparazione culturale, che attualmente si acquisisce inizialmente sui banchi di scuola, un tempo era indispensabile viaggiare e lavorare in diverse realtà di locali, non solo al bar ma facendo esperienze nei vari settori alberghieri;
- la competenza, che si acquisisce e si perfeziona di giorno in giorno sul lavoro dietro il banco con i maestri del mestiere e a stretto contatto col cliente: “la gavetta”;
- la presenza, vale a dire l’aspetto fisico: abbigliamento, pulizia e gestualità che deve essere gradevole;
- lo stile, con il quale raramente si nasce in quanto va assunto, soprattutto osservando gli altri per rilevarne gli errori di comportamento, onde evitarli ed imitandone gli esempi corretti;
- la personalità, che trova le sue radici nella “vocazione” in quanto, se manca questa, difficilmente la personalità può prendere forma;
- il colpo d’occhio, è la particolare dote e quella preziosa tecnica che scopre e individua le cose fuori posto.
- È opportuno non cedere alla moda dei capelli lunghi o arruffati, della barba, di abbigliamenti troppo “casual”, delle camiciole a mezze maniche e dei tatuaggi. È sottolineata anche la grande importanza che ha una discreta conoscenza delle lingue di base: inglese, francese, tedesco, spagnolo, specie per chi opera in zone ad alta e permanente vocazione turistica. In questo quadro generale s’inserisce il mondo delle conoscenze specifiche e scientifiche.
6) Come è cambiato il mestiere del barman oggi?
Semplice paragone: oggi prevale la moda di preparare e bere immensi bicchieri di Spritz, grandi quantità di cibo che l’accompagna e destrezze di mescita da barman super tatuati, con abbigliamenti che si discostano notevolmente dalle classiche giacche bianche. Viceversa un tempo l’aperitivo consentiva di esprimersi con miscele cocktail di gran effetto stimolante e soddisfacente al palato con minime quantità, vedi un classico Dry Martini con due olive, un gradevole Americano o Negroni con alcune cips, un Old fashioned e tanti altri classici. Cose che attualmente puoi degustare solo in bar d’alberghi stellati o in pochi Lounge Bar o American Bar condotti da barman classici di lunga esperienza, oppure inoltrandosi nella grande novità dei drink preparati dai barman mixologist, ma in locali collaudati con veri maestri della mixologia.
7) Il ricordo più̀ bello che hai dei tuoi anni di lavoro.
La mia esperienza al Caffè Regina Grill Room di Francoforte/M nel 1958. Un lussuoso locale dove si faceva Dancing con spettacoli provenienti dai mitici locali di Parigi. dove con una bellissima e qualificata brigata del Grill Cocktail Bar si preparavano drink e piatti fiammeggiati alla lampada per una clientela prevalentemente americana. Dopo breve tempo venni scelto all’unanimità della brigata come ufficiale preparatore dei cocktail e del bere miscelato perché capirono la mia innata passione, avevo 18/19 anni.
Altro locale che lasciò il segno nel mio modo di concepire la tipologia dei locali fu nell’inverno del ’64 il Verockay di Cortina d’Ampezzo. Mi colpì molto il caldo ambiente delle varie salette arredate differentemente le une dalle altre con materiali caldi naturali della montagna; il banco bar dove io preparavo i miei drink aveva alle spalle un’immensa vetrata che dava sulla panoramica notturna innevata della discesa degli sciatori notturni dal Pocol. E oltre agli arredi così particolari c’era una clientela che era veramente il jet set nazionale. Poi l’aver raggiunto il mio sogno, tenuto nel mio cuore per tutti gli anni di sacrifici e apprendimento in giro per il mondo, di aprire il mio Cluny American Piano Bar, poi diventato anche ristorante a Milano Marittima, nel momento clou di maggiore qualità ospitativa della nota località balneare frequentata da una scelta clientela cosmopolita.
8) Quali sono gli ingredienti che usi maggiormente e perché?
Non è facile, per un barman che deve miscelare, poter giudicare gl’ingredienti che maggiormente preferisce usare. Cominciai ad essere affascinato già nelle mie prime esperienze dal Gin. All’inizio del mio lavoro anch’io sognavo poeticamente di scoprire la mia ricetta miscelata con gli ingredienti che mi affascinavano nel profumo e colore, la mia prima ricetta “aghi di pino” si componeva: di 6/10 Gordon Dry Gin – 3/10 Vermouth Bianco – 1/10 succo di limone – alcune gocce di Pepermint verde e Mistrà Varnelli. Ovviamente presto dimenticata come tante altre.
Poi, nella suggestiva capannina del bar al Night Woodpecker mi stimolava il servizio del buon Cognac servito nel Ballon con alcune zollette di zucchero d’accompagnamento.
Col Cognac in quel periodo preparai anche la mia seconda fantasiosa ricetta cocktail col Cognac e il Grand Marnier Lapostolle del quale mi piaceva tanto il delicato profumo e la sua soave dolcezza. Ricetta forse scovata da un piccolo ricettario contenente tante ricette che mi prestò il maître/barman Sergio Liparini di Porretta terme: severo, inflessibile, ma apprezzabile perché conosceva molto bene il suo lavoro di direttore di sala e le lingue, aveva lavorato per lungo tempo in Germania; poi anch’io andando a lavorare in quella nazione capii il suo modo duro di essere e di fare.
La ricetta si componeva di: 4/10 Cognac – 2/10 Gin – 2/10 Vermouth Dry – 2/10 Grand Marnier, guarnito con ciliegina al Maraschino e un twist di buccia d’arancia. Poi, come scrissi in un mio primo manuale del barman: nella miscelazione dei cocktail non era necessario impiegare due distillati, es; Gin e Vodka, ma comunque c’erano delle eccezioni come il “Between-the Sheets” che porta Brandy – Rum – Cointreau – succo di limone, eccellente ricetta da non dimenticare. Questo mio cocktail è stato poi la miscela che mi ha sempre accompagnato, e gli davo il nome a seconda del locale in cui lavoravo: divenne il Cluny Cocktail e, per adeguarmi a bevande più light, ad ultimo lo servivo on-the-rocks. Poi evitai di pensare di creare nuove ricette, con qualche eccezione per partecipare ai concorsi AIBES, perché ritengo sia meglio cercare di eseguire bene con prodotti eccellenti le tante ricette classiche già create nel mondo, sono già tante e collaudate da un pubblico d’eccellenza che non saprei cosa inventare ancor di nuovo se non per impiegare nuovi prodotti della liquoristica. I classici insegnano al buon bere e al massimo si potrebbero modificare con guarnizioni aggiunte, gocce di sciroppi, diluirli con acque toniche per farne dei long drink. Ad esempio il Paradise (succo d’arancia, Gin e Apricot Brandy) potrebbe essere diluito con una acqua tonica per ricreare e servire un buon long drink.
Il Rum a quei tempi non era ancora tenuto in considerazione e non si faceva la differenza fra le varie tipologie. Poi arrivò il grande consumo della Vodka: bianche, aromatizzate ecc. E qui ebbi l’occasione di creare una nuova mia ricetta, il Princess Daisy.
Poi la Martini mi regalò un cartone di vermouth Rosè appena messo in commercio e che nessuno chiedeva, pensai di farne un drink adatto all’aperitivo dove avrei potuto finire di versare le rimanenti quantità dello Champagne che servivo a flûte: nacque il Marilyn.
9) Qual è il tuo rapporto col cliente? Cosa vuoi trasmettere a chi viene nel tuo locale?
Quando aprii il Cluny Bar feci molta attenzione a come era collocato il banco bar, benchè lo stretto bar e la terrazza si sviluppavano su di una passeggiata centrale. Io volevo, lavorando al banco, arrivare con gli occhi a controllare il servizio, ma soprattutto raggiungere con un saluto la mia clientela. Così personalizzavo il mio locale anche se i collaboratori al servizio dei tavoli erano di grande esperienza e soddisfacevano i clienti con i miei principi di lavoro. Poi potevo vedere la soddisfazione con cui ricevevano e gustavano le mie elaborazioni, andando via i cari clienti raramente non venivano a farmi un saluto se prima non ero arrivato io da loro. Altro momento di grande soddisfazione la ricevetti quando mi fu impossibile rimpiazzare uno chef di cucina e pertanto andai io a condurla. Continuo a suggerire di essere polivalenti nel nostro mestiere, specie se si gestisce personalmente un esercizio. Bisogna saper arrivare con competenza in tutti i settori e conoscendo per esperienza la pratica di lavoro, si può impartire adeguati comandi. Quando mi affacciavo in sala ristorante, prima di presentarmi, stavo ad osservare i gruppi di amici, di famiglia, le coppie, come erano soddisfatti e sereni: capivo che con il mio lavoro li avevo resi felici, stavano trascorrendo piacevoli ore nel mio locale.
10) Quali sono i cocktail che ami di più e perché?
Come ho detto, mi piacciono i semplici e classici cocktail e long drink: una flûte di buon Spumante o Champagne, Dry Martini, Old fashioned, Americano, Negroni, st, Vincent 60, Gin and Tonic, Moscow Mule, Bourbon High-boll Singapore Sling, Bourbon Sour, Caipirinha, Stinger, Between-the Sheets, Daiquiri e tutti i vecchi classici perché semplici nella loro qualità di prodotti miscelati e con poche manipolazioni di guarnizioni. Poi se ben eseguiti con prodotti freschi mi piacciono tanto anche i Tiki Drink.
11) Se pensi al tuo locale ideale quali caratteristiche dovrebbe avere?
Elegante ma sobrio, un ricevimento accogliente del pubblico che oltre al saluto di benvenuto soddisfi le loro pretese di posizionamento ai tavoli o al banco bar, divertente grazie alla musica, molto professionale nel servizio, ma gioviale.
12) Tre caratteristiche che ti hanno permesso di diventare grande.
Realizzare cocktail e long drink classici accompagnati da adeguati appetizer; non cercherò mai di mettere a disagio un collega quando mi prepara un drink, anzi cerco sempre, ancor oggi, di imparare dalle sue capacità che io non applicavo nella miscelazione; mi piace osservare con compiacimento il lavoro dei giovani.
13) Scrivi una frase che ti rappresenta, un motto, un aforisma, un messaggio che vorresti far conoscere a tutti.
Un riconoscimento al mio impegno didattico di questa nostra professione. “Ciò che abbiamo fatto solo per noi stessi, muore con noi. Ciò che abbiamo fatto per gli altri, resta ed è immortale”.
Questa rubrica vuole essere una sorta di contenitore delle vostre storie di vita ed anche delle vostre ricette più importanti. Di volta in volta daremo spazio ad un barman che racconterà la propria storia umana e professionale e che ci dirà, con un aforisma, il suo modo di vedere questa straordinaria professione.
Gli articoli saranno pubblicati qui su bar.it
Per ogni articolo, appunto, troverete foto del barman aforisma e una sua ricetta “cavallo di battaglia”. Alla fine di questo percorso, raccoglieremo tutte queste esperienze in un volume: “Storie al Bar” e-book e cartaceo.
Se volete raccontare anche voi la vostra storia e la vostra carriera, potete inviare una mail a bar@bar.it indicando come oggetto Storie al bar. Ricordate di:
- Indicare nome e cognome, luogo di provenienza;
- Allegare il file con le domande a cui rispondere per realizzare l’articolo (POTETE SCARICARE IL FILE QUI)
- Scrivere l’aforisma che vi rappresenta
- Allegare una o più foto che vi rappresentano negli anni di lavoro
- ricetta e spiegazione di un vostro cocktail con relativa foto
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