La ristorazione sostenibile come necessità ineludibile, più che come scelta. È la filosofia di un manipolo – ma sono sempre di più – di ristoranti che stanno nascendo in varie parti del mondo, dalle campagne alle metropoli, portando idee e pratiche innovative con un obiettivo: arrivare allo spreco zero e impattare il meno possibile sull’ambiente. Ecco un articolo dall’Osservatorio di HostmMilano.
Secondo WRAP ogni anno ristorazione e ospitalità buttano, tra food, non food e packaging, 2,87 milioni di tonnellate di materiale, del quale il 46 per cento è riciclato. Ma c’è chi vuole fare di più. Noi abbiamo scelti alcune loro storie che ci sembravano particolarmente significative nella ristorazione sostenibile.
Partiamo con quello che è stato definito “il ristorante più sostenibile del mondo” e cui capita anche di avere tre stelle Michelin, a dimostrazione che green a gourmet possono coesistere. Azurmendi dello chef basco Eneko Atxa dal 2012 raccoglie nella campagna di Larrabetzu riconoscimenti e certificazioni, tra le quali la prestigiosa LEED (Leadership in Energy and Environmental Design) Silver. Costruito ex novo con materiali riciclati, l’edificio che ospita il ristorante usa energia geotermica e solare e raccoglie l’acqua piovana. Gli scarti sono interamente compostati e un furgone elettrico si occupa di ritirare ogni mattina le materie prime dai produttori locali. Nella serra e nel giardino crescono fiori, limoni e insalate ma non certo a sufficienza perché “è importante anche sostenere l’economia locale”. Nel parcheggio non possono mancare le colonnine per la ricarica delle auto elettriche: gli eco clienti ringraziano.
Sempre parlando di ristorazione sostenibile, a Bristol Poco Tapas Bar è stato nominato Sustainable Restaurant of the Year, nel 2016 e nel 2018: qui si avvia al compost o ricicla quasi il 100 per cento degli scarti e le ricette sono ideate in modo che gli avanzi possano essere recuperati in altri piatti. Gli esigui sacchi della spazzatura sono pesati e studiati attentamente per capire come potere migliorare ancora, riducendoli. Al londinese Native le tazze sono fatte di chicchi di caffè e alghe e gli arredi di legno recuperato da un vecchio teatro. E gli scarti, bucce di frutta e verdura e pelli di pesce, sono usati per chips e snack da proporre ad inizio pranzo. Creativi, ma soprattutto buoni.
Il tema è tanto cruciale che non sta a cuore solo a bistrò chic, gastropub e stellati innovativi. Sul carro della sostenibilità – e da lì potrebbe arrivare la vera differenza – stanno iniziando a salire anche le catene di ristorazione fast, in passato responsabili di sprechi immensi. Ma con un asso nella manica nel coinvolgimento non solo dei clienti, ma dei dipendenti. Come ha spiegato John C. Scott, vicepresidente global food safety, quality & sustainability di Subway, al sito Ethical Corporation: “Credo che la prossima ondata di azioni sarà guidata non dai clienti o dai regolamenti, ma dai dipendenti che vogliono lavorare per le aziende che cercano di fare la differenza”. Le quali potrebbero decidere di mobilitarsi in senso eco sostenibile proprio per attrarre e mantenere i migliori talenti che aiutino l’azienda a crescere.
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