Un viaggio a Tbilisi tra bar e settore dell’ospitalità, per capire com’è cambiata la città negli ultimi anni e com’è la situazione del pubblico esercizio.
È sempre emozionante vedere un Paese emergente aprirsi (anzi, ri-aprisi) all’ospitalità internazionale. Un momento magico in cui nuove energie si esprimono nell’apertura di alberghi e locali che trasmettono nuove idee, in un dialogo continuo e fecondo tra passato, presente e futuro.
È quello che sta accadendo a Tbilisi, capitale della Georgia, che dopo l’era sovietica e anni difficili di guerra sta risorgendo agli antichi fasti, quando tra Otto e Novecento era meta favorita dalle élite russe. Un rinascita che punta molto sulla antichissima eredità enogastronomica del Paese, ma anche sul design locale e su una vita notturna assai vivace. Tre ingredienti che stanno trasformando la scena e attirando un manipolo sempre più robusto di turisti occidentali, ma non solo.
Scelta da Guardian, National Geographic e Lonely Planet tra le mete emergenti da visitare, graditissima ai backpackers, da sempre l’avanguardia dei turisti, la nuova Tbilisi si è formata proprio intorno ai suoi locali, club, bar e ristoranti e a una scena gastronomica emergente. Ci sono i designer, gli stilisti, ma anche la finanza con le banche in prima linea a promuovere (e finanziare) l’apertura a Occidente. E la sensazione che ci sia spazio per chiunque abbia delle idee.
Non è un turismo preconfezionato, buono per tutti. La città è un potpourri di architetture, la casa di legno con veranda di gusto orientale sorge di fianco al palazzo brutalista di epoca sovietica, il grattacielo in vetro e acciaio fa ombra a un’elegantissima e decadente casa liberty. È un momento di transizione con edifici ristrutturati a metà, interi isolati in rovina, ma anche ex fabbriche trasformate in modo davvero originale. Come Stamba, un hotel con bar e ristorante ricavato in una ex stamperia. Della quale è stata lasciato la struttura di cemento armato a vista e i vecchi macchinari nella hall, insieme a piante che crescono come in una serra urbana, mentre sul tetto c’è una piscina dal fondo trasparente. A lato c’è Rooms dello stesso proprietario, il vulcanico ed eclettico Valieri Chekheria che ha curato in prima persona il design.
Oppure Fabrika, una ex fabbrica di abbigliamento sovietica che è un po’ ostello, un po’ centro commerciale alternativo, un po’ co-working e mensa aziendale ma anche il posto dove bere un caffè specialty, mangiare un piatto veggie o un bowl e acquistare i capi dei giovani stilisti georgiani, che stanno guadagnando notorietà internazionale grazie alla Fashion Week.
L’enogastronomia fa da perno a tutto ciò, in fondo. Oltre le robuste icone – la chahcha l’acquavite locale che scorre a fiumi a fine cena, le carni, gigliate bollite e stufate, e il Khachapuri, la focaccia al formaggio con uova – anche la scena enogastronomica si sta muovendo. Guardando alle ottime materie prime riscoperte dopo l’omologazione agricola dell’epoca sovietica, come ci spiega la chef Tekuna Gachechiladze di Cafe Littera, uno dei ristoranti che hanno dato il la alla rinascita portando una nuova idea di cucina. E poi c’è il vino. Nato qui 8000 anni fa e realizzato ancora con gli stessi metodi di allora, al naturale in grandi anfore di terracotta. Un altro prodotto antico che sembra pensato per le esigenze moderne (da noi si chiama Orange Wine): non contiene solfiti, è naturale, evita il cerchio alla testa del giorno dopo.
È questa la “ricetta” georgiana per l’ospitalità, in fondo: un mix contradditorio e affascinante di passato e futuro, creatività e tradizione che – forse – ha qualcosa da insegnare anche a noi.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.